Le miniere abbandonate e i tesori che nascondono

Andrea 26 Gennaio 2021
carbon

Non c’è dubbio che, nel corso dei secoli di storia che ha vissuto il nostro paese, si sono susseguite dominazioni di diverse popolazioni e culture che hanno in qualche modo lasciato il segno, e tracce di ciò sono evidenti, nelle varie forme di espressione culturale, anche grazie ai vari reperti archeologici venuti alla luce, alle opere d’arte già custodite nei nostri musei, ma anche grazie alla scoperta di grotte e miniere abbandonate, in alcune delle quali sono ancora perfettamente visibili segni di antiche civilizzazioni.

Il sottosuolo italiano è un qualcosa di veramente affascinante, e si possono trovare un’infinità di grotte, caverne, miniere abbandonate in cui, oltre ad essere di tanto in tanto scoperto qualche piccolo giacimento di minerali e anche d’oro, vengono alla luce anche evidenti segni caratteristici dei vari popoli che magari in quegli anfratti hanno anche vissuto. E’ da dire che, giusto per la cronaca, il sottosuolo italiano è ricco prevalentemente di giacimenti di minerali di tutti i tipi, ma non c’è molto oro.

Ci sono miniere abbandonate in Italia?

Come era logico aspettarsi, i pochi giacimenti d’oro che abbiamo nel nostro paese sono per la maggior parte concentrati al Nord, ovviamente in prossimità delle valli attraversate da grossi fiumi e torrenti che vengono giù dalle Alpi, specialmente dal versante svizzero. Ai piedi della catena montuosa del Monte Rosa si trovano, disposte perfettamente a ventaglio, una seria di vallate che circondano completamente il massiccio montuoso, ed è lì che si svilupparono le prime attività aurifere nel nostro paese.

Val d’Ayas, Val Toppa, Alagna, Crodo, erano i più importanti centri di produzione di solfati auriferi presenti nel nostro paese, mentre la cittadina di Brusson ospitava l’unica vera miniera d’oro naturale da cui era possibile estrarlo; per questo motivo l’intera area fu presto interdetta e chiusa al pubblico, per poi essere riaperta sotto la gestione del governo francese. Oggi esiste un vero e proprio polo museale delle miniere d’oro di Brusson, aperto al pubblico dal 2015.

I giacimenti d’oro del Monte Rosa

Secondo quanto afferma la eminente geologa Rita Mabel Schiavo, nel bel mezzo della catena montuosa delle Alpi Pennine, più precisamente sotto il Monte Rosa, si troverebbe un ricchissimo giacimento d’oro con potenzialità maggiori addirittura del più produttivo giacimento aurifero del Sud Africa. “Stiamo parlando di un giacimento di più di 20 chilometri quadrati”, afferma la Schiavo, “che a causa di problemi ambientali inerenti la sicurezza, e per i costi di gestione troppo elevati, non è mai stato sfruttato”.

Gli studi della geologa ipotizzano una concentrazione del prezioso ‘oro giallo’ proprio alla base del massiccio montuoso del Monte Rosa, e tale fenomeno risalirebbe alle fasi glaciali del Quaternario, quando lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi Occidentali creò una vera e propria rete fluviale che scese a valle portando con se detriti di ogni genere, incluso quelli auriferi. Pò, Dora Baltea, Ticino, Adda, Serio, Oglio, sono tutti fiumi potenzialmente auriferi, ed oggi esistono anche delle concessioni governative ottenibili per chi volesse avventurarsi alla ricerca del prezioso metallo, ovviamente a livello non industriale.

Le miniere siciliane

Una delle più grandi miniere siciliane, attualmente dismessa e chiusa al pubblico, è stata quella di Gibellini, aperta in seguito alla scoperta di un ingente giacimento di zolfo avvenuta nel 1852, e chiusa poco più di un secolo dopo a causa della enorme svalutazione dello zolfo e della grande concorrenza statunitense, che nel frattempo si era organizzata per estrarlo con delle speciali sonde a costi bassissimi.

Si provò successivamente ad estrarre salgemma da alcune cave presenti in quel territorio, ma anche in questo caso la cosa non funzionò poi così bene. Anche nella cava di Racalmuto, paese che diede i natali allo scrittore siciliano Leonardo Sciascia, c’era una intensa attività di estrazione mineraria; zolfo, salgemma e sali potassici venivano estratti dai carusi a ritmi impressionanti, tanto che un bel giorno lì sotto si crearono vapori e fumi tossici in grande quantità che provocarono la morte di tre persone e la conseguente chiusura di ogni attività estrattiva.

L’estrazione di zolfo ad Agrigento e Caltanissetta

E’ anch’esso di colore giallo ma, a differenza del suo parente più nobile, non ha il suo stesso valore ed in cambio rende l’aria quasi irrespirabile; stiamo parlando dello zolfo, la ricchezza più grande che si possa estrarre dalle miniere presenti nel sottosuolo siciliano. Anche Pirandello e Sciascia hanno raccontato la vita nelle miniere di zolfo della Sicilia occidentale, riferendosi soprattutto a quelle presenti nel territorio abbracciato dalle provincie di Caltanissetta ed Agrigento, teatri di vicende umane spesso tragiche collegate strettamente con l’attività di estrazione dello zolfo, anticamente fonte di sostentamento primaria per i popoli isolani.

I lavoratori delle ‘zolfare’ venivano chiamati carusi, uomini impavidi che partivano all’alba e tornavano di notte dopo aver trascorso un’intera giornata completamente sepolti sotto terra, respirando per di più la classica aria acre e pungente caratteristica dello zolfo; era un lavoro davvero massacrante e molto pericoloso per la propria salute innanzitutto, ma in quel periodo era tutto ciò che di meglio si poteva trovare per assicurare un piatto caldo alla propria famiglia.